Straining - Una forma attenuata di mobbing

pubblicato 3 giu 2019, 02:31 da Nicola Massafra
Recentemente la Corte di Appello di Milano ha chiarito che "La non configurabilità della dedotta fattispecie di mobbing, non osta all'affermazione di una responsabilità risarcitoria del datore di lavoro ove risulti provata la più lieve ipotesi del c.d. straining, in presenza di elementi i quali per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto, evidenzino la creazione, ad opera del datore di lavoro medesimo, di condizioni lavorative stressogene, tali da provocare nel prestatore una modificazione in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, atta ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato" (Corte d'Appello Milano Sez. lavoro Sent., 31-01-2019).
Si ricorda che "Lo "straining" è una forma attenuata di "mobbing", cui difetta la continuità delle azioni vessatorie, sicchè la prospettazione solo in appello di tale fenomeno, se nel ricorso di primo grado gli stessi fatti erano stati allegati e qualificati "mobbing", non integra la violazione dell'art. 112 c.p.c., costituendo entrambi comportamenti datoriali ostili, atti ad incidere sul diritto alla salute. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 03/07/2013)" e "Lo straining altro non è se non una forma attenuata di mobbing nella quale non si riscontra il carattere della continuità delle azioni vessatorie, azioni che, peraltro, ove si rivelino produttive di danno all'integrità psico-fisica del lavoratore, giustificano la pretesa risarcitoria fondata sull'art. 2087 cod. civ. Ciò posto, non integra violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. l'aver qualificato la fattispecie come straining mentre in ricorso si sia fatto riferimento al mobbing, in quanto si tratta soltanto di adoperare differenti qualificazioni di tipo medico-legale, per identificare comportamenti ostili, in ipotesi atti ad incidere sul diritto alla salute, costituzionalmente tutelato, essendo il datore di lavoro tenuto ad evitare situazioni "stresso gene" che diano origine ad una condizione che, per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto possa presuntivamente ricondurre a questa forma di danno anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio. (Nella fattispecie, dunque, non poteva essere considerata preclusiva di una valutazione della condotta datoriale come straining la prospettazione, nel ricorso di primo grado, di tale condotta come mobbing, non sussistendo alcuna novità della questione)
(Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 10-07-2018, n. 18164).
Sempre la Suprema Corte ha precisato che "Ai sensi dell'art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute, sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene" (c.d. "straining"), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di "mobbing", è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno" (Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 29-03-2018, n. 7844).


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