Obblighi dei coniugi -  Rapporti sessuali - Effetti ai fini della separazione del rifiuto.

pubblicato 18 ago 2016, 16:08 da Nicola Massafra
Considerati i diritti e doveri previsti per i coniugi dall'art. 143 c.c., secondo la Cassazione, con la sentenza n. 39865/2015, è da escludersi l'esistenza di un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali, tanto più se avvengono in un contesto di sopraffazioni, infedeltà e violenze. Gli Ermellini chiariscono che “Proprio ai fini dell'integrazione del reato di violenza sessuale, è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psico-fisico idonea a incidere sull'altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi l'esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, in quanto esso non degrada la persona del coniuge a mero oggetto di possesso dell'altro coniuge. Né basta, a escludere il reato, la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, laddove risulti la prova che l'agente abbia avuto la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte del coniuge al loro compimento” (Cass. pen. Sez. III, 17-02-2015, n. 39865).
Ciò detto e chiarito, DEVE TUTTAVIA EVIDENZIARSI COME UN RIFIUTO CONTINUO COSTITUISCE VALIDO MOTIVO DI ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE. Il Tribunale di Ancona, riprendendo orientamenti della Cassazione,precisa infatti come “in tema di separazione personale dei coniugi, il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge impedisce una piena comunione di vita e costituisce violazione del dovere di assistenza morale sancito dall'art. 143 c.c., tale da giustificare l'addebito della separazione (Trib. Ancona Sez. I, 18-02-2013)
Nello stesso senso la Suprema Corte chiariva come “Il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge configura e integra violazione dell'inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall'art. 143 c.c., che ricomprende tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale, poiché, provocando oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell'equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner. Tale volontario comportamento sfugge, dunque, ad ogni giudizio di comparazione, non potendo in alcun modo essere giustificato come reazione o ritorsione nei confronti del partner e legittima pienamente l'addebito della separazione, in quanto rende impossibile al coniuge il soddisfacimento delle proprie esigenze affettive e sessuali e impedisce l'esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato” e che “Costituisce motivo di addebito della separazione fra i coniugi il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge in quanto integra una violazione dell'inderogabile dovere di assistenza morale sancito dall'art. 143 c.c. che, ricomprendendo tutti gli aspetti di sostegno nei quali si estrinseca il concetto di comunione coniugale, attiene all'oggettiva frustrazione e disagio provocati al proprio coniuge spesso con danni irreversibili sul piano dell'equilibrio psicofisico, sì da costituire gravissima offesa alla dignità e personalità del partner (Cass. civ. Sez. I, 06-11-2012, n. 19112).



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