Lavoro – Lecita la produzione in giudizio di documentazione riservata da parte del dipendente – Violazione della privacy ammessa per l’esercizio del diritto di difesa

pubblicato 1 feb 2020, 02:39 da Nicola Massafra   [ aggiornato in data 14 apr 2020, 05:45 ]
La Suprema Corte ha chiarito che “Non costituisce giusta casa o giustificato motivo di licenziamento disciplinare la produzione, da parte del lavoratore, nel giudizio dallo stesso instaurato per il conseguimento di un superiore inquadramento contrattuale, di documentazione aziendale concernente la propria posizione lavorativa ma ritenuta riservata dal datore di lavoroavendo l'attore il diritto di suffragare le proprie affermazioni mediante prova testimoniale e/o produzione di documenti. Le modalità dell'esercizio del diritto di difesa, in ogni caso, vanno valutate ex ante ed in astratto e non anche ex post ed in concreto alla luce dell'esito della controversia e delle motivazioni espresse dal Giudice, certamente non prevedibili dalla parte nel momento in cui imposta e documenta le proprie argomentazioni difensive. Deve, pertanto, ritenersi corretta la pronuncia del Giudice del merito che escluda la idoneità di tale circostanza ad integrare il concetto di giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, rispondendo la condotta del prestatore alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto ed essendo, quindi, coperta dalla scriminante prevista dall'art. 51 c.p., di portata generale nell'ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico” (Cass. civ. Sez. lavoro, 04-12-2014, n. 25682).
Parimenti l'interesse alla riservatezza dei dati personali deve cedere, a fronte di autentiche esigenze di difesa di altri interessi giuridicamente rilevanti, fra cui quello al corretto e coerente esercizio del diritto di difesa in giudizio, assumendo in ogni caso, ed a fronte di ogni decisione, come criterio direttivo la comparazione tra gli interessi concretamente coinvolti: comparazione cui deve procedere il giudice del merito, sulla base del suo sereno ed equilibrato apprezzamento (in questo senso Cass. Civ. sez. III del 03-04-2014, n. 7783).