Lavoro – Fascicolo del lavoratore e note di qualifica -  criteri di valutazione - Diritto alla riservatezza, diritto di accesso e diritto alla sua integrazione.

pubblicato 16 apr 2016, 15:35 da Nicola Massafra
Gli Ermellini hanno chiarito come Il diritto riconosciuto ai lavoratori dipendenti di ottenere che le valutazioni datoriali su rendimento e capacità professionale, espresse con le note di qualifica, siano formulate nel rispetto dei parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo e degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., oltre che della inerente necessaria trasparenza, può essere fatto valere in sede giudiziaria, anche a prescindere da un immediato effetto negativo subito, venendo in considerazione la tutela della dignità del lavoratore, al fine di ottenere il controllo da parte del giudice della conformità del procedimento seguito per la formulazione delle suindicate valutazioni ai predetti parametri, gravando sul datore di lavoro l'onere di motivare le note di qualifica medesime, per permettere lo svolgimento di tale controllo giudiziale, che non è limitato alla mera verifica della coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione, ma ha ad oggetto la verifica della correttezza del procedimento di formazione del medesimo. Ne deriva che esso richiede di prendere in esame i dati sia positivi che negativi rilevanti al fine della valutazione, non potendo invece tenersi conto di quelli estranei alla prestazione lavorativa, implicando la violazione del suddetto obbligo datoriale la conseguenza che la valutazione stessa debba ritenersi non avvenuta” (Cass. civ. Sez. lavoro, 07-04-2016 , n. 6775).
Parimenti si è chiarito che “Il diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio fascicolo personale è tutelabile in quanto tale perchè si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro. L'obbligo del datore di lavoro di consentirne il pieno esercizio, prima ancora che nella legge n. 675 del 1996, deriva dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza ricadente sulle parti del rapporto lavorativo ex artt. 1175 e 1375 c.c. Del resto, la stessa contrattazione collettiva di diversi settori prevede che i datori di lavoro conservino, in un apposito fascicolo personale, tutti gli atti ed i documenti, prodotti dall'ente o dallo stesso dipendente attinenti al percorso professionale, all'attività svolta ed ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente ha il diritto di prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo personale. Ciò non esclude il diritto del lavoratore di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali ogni volta che si voglia ottenere, in tempi ragionevoli, uno dei provvedimenti previsti dall'art. 13 della citata legge n. 675, quale l'integrazione dei dati personali detenuti dal datore di lavoro con documenti ulteriori, restando salva la discrezionalità del datore circa le modalità di utilizzo di dette integrazioni” e si è evidenziato come “In materia di trattamento dei dati personali, il principio dell'alternatività del ricorso all'autorità giudiziaria rispetto al ricorso al Garante, previsto nell'ipotesi in cui entrambe le suddette iniziative abbiano il medesimo oggetto per essere compatibile con l'art. 24 Cost. deve essere inteso in senso specifico e conforme ai principi generali del diritto processuale e, quindi, nel senso che può applicarsi solo quando la domanda proposta in sede giurisdizionale e quella proposta in sede amministrativa (con ricorso al Garante), siano tali che in ipotesi di contestuale pendenza davanti a più giudici, potrebbero, in via generale, essere assoggettate al regime processuale della litispendenza o della continenza. Di talché, qualora, in sede giurisdizionale, si fa valere l'inottemperanza da parte del gestore dei dati personali rispetto ai provvedimenti assunti dal Garante e/o viene proposta una domanda di risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale, (riservata all'esame del giudice ordinario ed avente causa petendi e petitum specifici e del tutto diversi rispetto alle ragioni fatte valere con il ricorso al Garante), non può certamente ipotizzarsi l'applicazione del suddetto principio di alternatività delle tutele”.



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