La Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la pronuncia del 01-07-2013 n. 16452, ha precisato che “Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul luogo di lavoro sono finalizzate ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose e sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso. Il datore di lavoro, pertanto, è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, salvo che la condotta di quest'ultimo presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute”. Nella medesima sentenza si è altresì evidenziato che “L'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, dovendo la responsabilità del datore di lavoro essere collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ciò detto, ai fini dell'accertamento della responsabilità de qua, incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa espletata, un danno alla salute, l'onere di dimostrare l'esistenza di tale danno, come pure di allegare la nocività dell'ambiente lavorativo, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, non dovendo, tuttavia, in assenza di una disposizione in tal senso, indicare le norme infortunistiche violate o le misure non adottate. A fronte della dimostrazione di siffatti elementi, spetta al datore di lavoro provare di aver adottato tutte le misure e cautele necessarie per impedire il verificarsi del predetto danno”. |
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