Il diritto di abitazione è un diritto reale di godimento che consiste nella utilizzazione di una casa quale alloggio limitatamente ai bisogni del titolare e della sua famiglia. Così testualmente l’art. 1022 c.c. : “Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”. Il titolare del diritto non può far abitare la casa dai suoi familiari, mentre egli abita stabilmente altrove. Quanto alla valutazione dei bisogni, gli stessi devono rapportarsi alla condizione sociale del titolare del diritto così come chiarito dall’ultimo comma dell’art. 1021 c.c.. La giurisprudenza ha recentemente precisato che “In tema di diritto di abitazione, il limite sancito dall'art. 1022 cod. civ. riguardo ai bisogni del titolare e della sua famiglia non deve essere inteso in senso quantitativo, che imporrebbe l'ardua determinazione della parte di casa necessaria a soddisfare tali bisogni, ma solo come divieto di utilizzo della casa in altro modo che per l'abitazione diretta dell'"habitator" e dei suoi familiari. (Rigetta, App. Roma, 09/10/2007)” (Cass. civ. Sez. II, 27-06-2014, n. 14687). Il diritto di abitazione può spettare solo a persone fisiche (l’abitazione è un’esigenza riferibile solo alla persona) e ciò anche in comune a più soggetti, riducendosi soltanto il godimento nei limiti della quota, proporzionalmente determinata sulla base dei bisogni di ciascuno di essi e delle rispettive famiglie. È inoltre possibile la costituzione di un diritto di abitazione su parte di una casa che sia comodamente divisibile e comunque tale da consentire una conveniente sistemazione di due o più famiglie. Il titolare del diritto di abitazione può esercitare il suo diritto, anche se egli possiede altre case, dove potrebbe con maggiore comodità abitare. Non è possibile che l'habitator utilizzi la casa per l'esercizio di attività economiche (professionale, industriale, commerciale, ecc.), né che l'edificio serva come sede di una persona giuridica. Ciò tuttavia non significa che al titolare sia interdetta qualsiasi attività professionale nella casa che forma oggetto del suo diritto, ma soltanto quella che presupponga l'instaurarsi di un legame strumentale tra tale attività e l'immobile, che risulti a ciò specificamente destinato. Il diritto di abitazione può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto. In quest'ultimo caso è richiesta ad substantiam la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata. Deve essere trascritto perché sia opponibile ai terzi, a norma dell'art. 2653, n. 4. Il diritto di abitazione può essere costituito, oltre che dal proprietario, anche dall'enfiteuta e dall'usufruttuario se ciò non è vietato dal titolo costitutivo. Il contratto di abitazione si differenzia dal diritto di locazione in quanto esso costituisce un diritto reale immobiliare, di natura strettamente personale e, quindi, non cedibile, mentre la locazione attribuisce un diritto personale di godimento cedibile. Il diritto di abitazione è altresì previsto, in materia successoria, dall’art. 540 2 comma c.c. a mente del quale: “Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli”. In merito a tale ultimo diritto successorio è da notare che “I diritti di abitazione e di uso riservati al coniuge superstite dall'art. 540, 2° comma, c. c. spettano sia nelle successioni testamentarie che in quelle legittime; essi hanno natura di legato ex lege e, pertanto, essendo diverso il carattere e la disciplina dell'attribuzione patrimoniale a titolo di eredità da quella a titolo di legato e dovendo quest'ultima essere tenuta distinta dalla prima, ne consegue che la rinuncia all'eredità, da parte del coniuge superstite, non implica rinuncia ai diritti di abitazione e di uso, per la dismissione dei quali, invece, occorre compiere un atto autonomo indicativo della volontà dismissiva di quei diritti, i quali, formando oggetto di un legato, sono già stati acquistati ipso iure, al momento di apertura della successione, senza bisogno di accettazione; tanto più ove si consideri che, per quanto concerne la rinuncia al diritto di abitazione di un immobile, essa va rivestita, a pena di nullità, della forma solenne ex art. 1350, n. 5, c. c.” (Pretura Campi Salentina, 25-11-1980). Infatti il diritto di abitazione e d’uso derivante previsto dall’art. 540 2 comma c.c. costituisce un legato ex lege e non è attribuito in funzione della quota ereditaria riservata al coniuge superstite. Da ciò consegue: a) L'acquisto è immediato, ipso iure, ai sensi dell'art. 649 c.c.. b) Il diritto di abitazione è, in questo caso, opponibile ai terzi a prescindere dall'effettiva trascrizione dell'acquisto. c) in quanto legato ex lege, anche a fronte della rinunzia all'eredità esso potrà essere comunque conseguito (così come il diritto d’uso sui mobili che corredano l’abitazione) da parte del coniuge superstite. Si segnala altresì che la possibilità di acquisto ex lege importa che l'eventuale possesso, da parte del coniuge superstite, della casa familiare, non integri il requisito della fattispecie di cui all'art. 485 c.c. di “possesso dei beni ereditari da parte del chiamato all'eredità”. |
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